Foto: Bauhaus (Dessau) Original photograph by Allan T. Kohl
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Si fa fatica a credere che il Bauhaus, stile che caratterizza innumerevoli edifici in tutto il mondo, oggetti domestici, segnali stradali e addirittura il lettering sul tubetto del nostro dentifricio o la nostra automobile, sia stato inizialmente “solo” una scuola d’arte e design  

A dispetto della sua attualità, il Bauhaus, ha già spento le sue prime cento candeline, confermando di essere stato il preludio dell’architettura e del design moderni. Nome completo Staatliche Bauhaus (letteralmente “casa del costruire”) nasce dopo la Prima guerra mondiale, nel 1919, a Weimar, in Germania, ad opera dell’architetto Walter Gropius, il quale stilò un manifesto progressista apertamente in sfida con il governo dell’epoca, poiché l’uguaglianza ne era il motore principale.

La scuola, infatti, era “aperta a ogni persona di buona reputazione, a prescindere dall’età e dal sesso”. Lo scopo era di dare vita ad una nuova corporazione di artigiani, senza distinzione di classe, che non intendessero l’arte come fine a sé stessa, ma funzionale alla realizzazione di oggetti di uso quotidiano ovvero formarli nel saper conciliare il valore estetico di una creazione artigianale, con la componente tecnica della produzione industriale.

Infatti, al termine del percorso di studi, l’allievo non solo era in grado di ideare un oggetto, grazie all’acquisizione delle abilità artistiche principali, ma anche di supervisionare ogni fase della sua realizzazione, attraverso l’applicazione diretta in laboratori specifici, dei più moderni metodi di lavorazione dei materiali. Ciò soddisfaceva la necessità di avere prototipi adatti alla produzione di massa, fondamentale per la ricostruzione del Paese, perché permetteva di contenere i costi, diminuire i tempi di esecuzione e ridurre al minimo gli scarti.

Tra i più importanti esponenti e professori del Bauhaus vi erano pittori del calibro di Vasilij V., Kandinskij, Paul Klee, Josef Albers; lo scultore Oskar Schlemmer; l’ungherese Laszlo Moholy-Nagy, il quale si occupava tra l’altro di progettazione grafica ed è sorprendente scoprire come la grafica moderna e lo stile di impaginazione dei nostri libri, derivino proprio dal Bauhaus. Tra i tanti studenti che decisero di restare in qualità di professori o assistenti al termine dei loro studi, Marcel Breuer, il quale divenne direttore della sezione mobili. L’architetto Adolf Meyer, insegnante di architettura, la disciplina più importante, collaborò con Gropius nel progetto del nuovo edificio costruito a Dessau, dove venne trasferita la scuola nel 1926 a causa dei primi dissidi politici. Sempre Meyer subentrò a Gropius nella direzione, dopo le dimissioni di quest’ultimo nel 1928. La scuola fu poi trasferita a Berlino nel 1932, sotto la direzione dell’architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe, autore del famoso motto less is more, per essere infine chiusa definitivamente l’anno seguente dal regime nazista, che si sentiva minacciato dalla sua filosofia di uguaglianza.

Tuttavia, i maggiori esponenti portarono avanti tale filosofia ed i suoi principi, promuovendo oltreoceano scuole di architettura ispirate al Bauhaus. I numerosi grattacieli di Manhattan e Chicago, con i loro volumi regolari, i tetti piani e le ampie superfici vetrate, sono la rappresentazione di come “la forma segue la funzione”, l’utilità e l’efficacia devono essere messe al primo posto, senza necessariamente risultare noiose, riconoscendo l’imprescindibilità di tre soli elementi: la linea, la forma e il colore. Lo stesso edificio di Dessau rappresenta un luogo simbolo, una costruzione dalle linee essenziali ed eleganti, priva di ridondanze decorative, di ornamenti inutili quali forme floreali o curvilinee (tipiche dell’Art Decò e dell’Art Nouveau), attenta invece alla funzionalità e allo scopo per cui venne progettata. Il minimalismo si rispecchia anche nell’innovativa distribuzione dello spazio, con linee rette che giocano con i limiti tra spazi aperti e chiusi e non prevede di inserire alcun elemento decorativo che non sia strettamente necessario.

Sempre secondo i fondamentali del Bauhaus, l’essenzialità andava ritrovata anche nell’uso dei materiali, che non dovevano essere modificati o nascosti per amor d’estetica, anche se grezzi, ruvidi o “brutali”. La struttura di un oggetto o di un edificio non necessitava di essere camuffata semplicemente perché veniva resa parte integrante del design. Proprio questo ha spinto il Bauhaus alla ricerca costante di nuove tecniche, materiali, attitudini e modi di costruire, portando alla nascita di nuove forme di interior design che continuano ad essere sorprendentemente attuali e inesauribile fonte d’ispirazione.

I famosi mobili modulari e popolari di IKEA nascono proprio dall’impronta delle opere classiche del design Bauhaus, così come i tappeti o i celebri tessuti che ripropongono le griglie colorate tanto care ad Anni Albers, una delle donne più celebri della scuola, la quale si è cimentata nella sperimentazione di fibre e metodologie costruttive, mai utilizzate prima o i servizi da tavola di Lutz Morris e KPM, con i motivi dell’insegnante del Bauhaus e ceramista Marguerite Friedlaender.

Esistono poi pezzi cult che, a distanza di oltre un secolo, sono fortunatamente ancora in produzione, risultando straordinariamente attuali, moderni e di tendenza nonché richiestissimi da tutti gli interior designer: la poltroncina tubolare Wassily Chair di Marcel Breuer, oggi prodotta da Knoll, costruita seguendo l’esempio del telaio delle biciclette e realizzata in onore di Vasilij Kandinskij.

La poltrona Barcelona di Ludwig Mies van der Rohe e Lilly Reich, anch’essa KnollStudio.

La sedia Brno, sempre firmata da Mies van der Rohe.

la Red and Blue, di Gerrit Thomas Rietveld, prodotta dagli anni Settanta da Cassina, una sedia – scultura inizialmente concepita in una versione monocromatica e riproposta, nel 1923, in una nuova veste che richiama i colori primari, rosso giallo e blu, per distinguere le singole parti e le diverse funzioni.

Senza dimenticare gli accessori, sicuramente più accessibili nei costi, ma non meno di tendenza, come il posacenere ideato da Marianne Brandt, rieditato da Alessi; le lampade di Christian Dell, oggi riproposte in grigio e ottone da Fritz Hanse o gli sgabelli-tavolini B9 di Breuer, leggeri e salvaspazio, inizialmente progettati per la mensa della scuola, poi divenuti dei bestseller di Thonet.

 

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Laureata in Giurisprudenza presso l’Università del Salento di Lecce, ha completato la pratica forense lavorando, nel frattempo, come Team Leader in una società di Contact Center e scrivendo come freelance per vari quotidiani locali. Ha affinato le sue doti comunicative frequentando un corso di Programmazione Neuro Linguistica tenuto da Logotel – Milano. L’animo creativo e le innate doti manuali l’hanno portata a dedicarsi ad allestimenti e composizioni per feste ed avvenimenti. Lo spiccato gusto estetico, la passione per la moda, l’arredamento e la bellezza in ogni sua forma ed espressione, l’hanno avvicinata al mondo del design, fino a decidere di specializzarsi presso l’Accademia Telematica Europea come Interior Designer. In tale occasione ha avuto la possibilità di riscoprire l’amore per la scrittura, frequentando il corso di Giornalismo dell’Architettura e dell’Interior Design e collaborando come redattrice per la rivista Interiorissimi.

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