Carissimi lettori, oggi ho il piacere di presentarvi un’intervista esclusiva con una delle figure più illustri e stimate del mondo del design automobilistico: Enrico Fumia.
Enrico Fumia è un nome che ha fatto la storia del settore, grazie alla sua creatività e al suo impegno, che hanno saputo distinguersi nel corso degli anni. La sua vasta esperienza rappresenta una vera e propria miniera di conoscenze, di cui potremo beneficiare attraverso questa intervista.
In questo colloquio, Enrico Fumia ci offrirà una prospettiva unica e interessante sulla creatività, sulla tecnica, sulla formazione, le sfide e le opportunità nel mondo del design automobilistico. Ci svelerà la sua filosofia di lavoro e le difficoltà che ha dovuto affrontare nella sua carriera, nonché i successi che lo hanno gratificato e reso famoso in tutto il mondo.
Per gli appassionati del settore, questa è un’occasione da non perdere per conoscere meglio il mondo del design automobilistico e per scoprire i segreti di uno dei suoi protagonisti più importanti. E per chi aspira a intraprendere una carriera in questo campo, questa intervista rappresenta una vera e propria lezione di vita e di professionalità.
Questo momento rappresenta un’occasione per esplorare la vita e la carriera di Enrico Fumia, un autentico maestro del design automobilistico che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del settore. Grazie alla sua straordinaria creatività, ha sperimentato numerosi successi e ha vissuto una vita ricca di momenti indimenticabili, continuando a ispirare le nuove generazioni di designer.”
Qual è stata l’ispirazione che ha portato alla passione per il disegno di automobili e come è iniziata la formazione di Enrico Fumia?

Prima di tutto, desidero ringraziarvi per l’invito a parlare un po’ di me. Venendo alle domande, premetto che le mie risposta potrebbero risultare un po’ lunghe, ma si tratta di un tema che rappresenta per me non solo un aspetto professionale ma anche emotivo fondamentale della mia vita.
La mia carriera professionale è stata preceduta da un periodo amatoriale che ha svolto un ruolo importante nella mia formazione. Fin da giovane, ho mostrato un interesse particolare per il disegno di automobili, cominciando a disegnare a soli 5-6 anni. Non so perché abbia sviluppato questa passione, ma il fatto che il mio disegno più antico risalga al 1963, quando avevo solo 15 anni, è significativo. Insieme ad altri due disegni del 1964, i miei disegni erano già equiparabili a quelli dei professionisti dell’epoca in quanto erano fiancate colorate in scala 1:10.
Questo significa che, oltre alle prospettive libere, mi stavo già cimentando con le misure e la fattibilità dei miei disegni. In altre parole, stavo “misurando lo stile”, come ho scritto nel mio AUTOritratto. Questo interesse è stato scatenato dalla vista di un magnifico disegno a tempera in scala 1:1 di una Ferrari 400 Superamerica del ’61, che mi ha abbagliato nel 1963 quando mi sono recato dal Direttore dello Stile Pininfarina dell’epoca, Franco Martinengo, per ottenere una valutazione. È stato Martinengo ad invitarmi a cominciare con la scala 1:10, come era prassi per ogni stilista professionista all’epoca.
Quali erano le regole imperative per poter partecipare al “Concorso Grifo d’Oro Bertone 1966” nel quale hai vinto nella categoria Juniores, e in che modo la tua vittoria in quel concorso è stata considerata come il tuo “ingresso nella professione”? Inoltre, puoi raccontare come hai realizzato il tuo sogno di lavorare per la Pininfarina dieci anni dopo il Grifo d’Oro?
La mia carriera professionale ha avuto un momento topico quando ho vinto il “Concorso Grifo d’Oro Bertone 1966” nella categoria Juniores, tre anni dopo la mia prima visione della Ferrari 400 Superamerica.
Il concorso era riservato ai soli dilettanti e si estendeva solo all’Europa (anche se un libanese partecipò!), ma richiamò ben 5374 partecipanti, di cui “solo” 1067 ammessi in finale. Numeri che oggi sono irraggiungibili nonostante la presenza del mondo intero su internet.
Tuttavia, la qualità di quel concorso era definita dalle tre regole imperative: la creazione di disegni tecnici delle quattro viste ortogonali in scala 1:10, figurini a mano a tecnica libera e la creazione di un modello fisico in scala 1:10. Queste regole richiedevano la sintesi di un progetto completo, tanto che la mia vittoria in quel concorso è stata definita come il mio “ingresso nella professione”. Oppure, come il “trampolino di lancio”… ma non verso la Carrozzeria Bertone. Infatti, prima ancora di quel riconoscimento di grande importanza da Bertone, il mio sogno era la Pininfarina, tanto che i miei compagni di scuola media mi chiamavano “Pininfumia”.
Il sogno si avverò dieci anni dopo il Grifo d’Oro, nel ‘76, con l’assunzione nella mia Squadra del cuore, primo significativo momento della carriera professionale.
Quali sono le vetture disegnate da Pininfarina che sono considerate i momenti più significativi della tua carriera presso l’azienda e perché?
In Pininfarina, non pochi i momenti significativi. Ovviamente quelli relativi alle mie proposte diventate vetture. In particolare: l’Audi Quartz, mia prima “100% Pinin…fumia” esposta a Ginevra 1981;
l’Alfa Romeo 164, definita (in barba alla cabala negativa) venerdì 17 giugno ’83 da Sergio Pininfarina di fronte al modello di stile approvato (in produzione nell’’87): «La più bella berlina che abbiamo disegnato in tempi moderni», che mi suonò come una Laurea Pininfarina o Grifo d’Oro Pininfarina;
l’Alfa Romeo Spider (con la coupé Gtv, lanciate a fine ‘94), definita da Vittorio Ghidella l’8 luglio ’88, nell’approvare il modello di stile: «Bellissima. Adesso non datela ad altri!» (riferendosi alla presunta similitudine tra la 164 e la Peugeot 605 ampiamente chiarita su AUTOritratto);
l’ancora “misteriosa” Ferrari F90 (invero 6 prototipi identici per il Sultano del Brunei) che disegnai nell’’88, ma mai apparsa in pubblico… né mai alla Ferrari! poi ufficializzata solo nel 2005! A distanza di oltre trent’anni, aspetto ancora che una delle sei “scappi” dal sultanato per farsi giudicare dai comuni mortali, sì da annoverarla tra i momenti più significativi. Ma mi sa che… mortale lo sarò prima io.
Quali sono stati i momenti più significativi della tua carriera dopo aver lasciato Pininfarina, e quali riconoscimenti ha ricevuto per i suoi lavori per il Centro Stile Lancia?
Dopo aver lasciato intenzionalmente e traumaticamente l’amata Pininfarina alla fine del ’91 (un momento tanto negativo quanto significativo), ho assunto la direzione del neonato Centro Stile Lancia, dove ho subito disegnato, tra le altre scelte, la Lancia Y, pubblicizzata per lo stile “agli antipodi del solito” e con vendite superiori al doppio di quelle previste. Sia l’assunzione (che era del tutto impensabile quando ho lasciato Pininfarina) che il successo della Y sono rimasti momenti tra i più significativi. Ho anche ricevuto il prestigioso premio Torino Piemonte Car Design Award sia per la Y nel 1996 che per la 164 nel 1988: due momenti davvero salienti non solo per me, ma anche per l’affermazione dell’immagine di Alfa Romeo e Lancia, entrambe in crisi di vendita all’epoca.
Quali sono state le tappe più significative della tua carriera dopo aver lasciato Pininfarina, e quali sono stati i suoi progetti più importanti come libero professionista associato con Aldo Sessano nella Master Design?
Alla fine del ’98, ho intrapreso la libera professione associandomi con Aldo Sessano nella Master Design Intl., un passo anch’esso tra le tappe più significative. In concreto, ho avuto la soddisfazione di esporre al Salone di Torino del 2000 il brevetto denominato X-tile, un tetto con “mille” configurazioni di apertura grazie a un inedito roll-bar ad X presentato su due semi-modelli, X-port e X-mall, progettati per dimostrare X-tile su diverse tipologie di auto. Vorrei ricordare che le matematiche 3D sono state opera della Carcerano.
Come Fumia Design Associati, l’ultimo grande risultato è stato raggiunto nel 2005: l’esposizione al Auto show di Shanghai del modello simmetrico-modulare WOW per la casa automobilistica cinese Chery, poi trasformato in serie come QQme nel 2009, molto simile ma non modulare.
Dopo questo successo, è stato praticamente impossibile ottenere incarichi di consulenza per case automobilistiche che preferivano lavorare nei loro centri di design interni. Tuttavia, mai dire mai. Chissà che un altro momento significativo non si presenti in futuro.
9b – X-tile modelli X-port & X-mall 9b – X-tile modelli X-port & X-mall
Come vedi il futuro dell’industria automobilistica e quali sfide dovranno affrontare i designer in questo settore?
L’automobile ha subito una trasformazione significativa dalle prime berline alle city-car, alle monovolume e ai SUV. Questa trasformazione è stata principalmente funzionale, in risposta alle esigenze dei clienti per diverse tipologie di veicoli. Tuttavia, l’attuale tendenza degli SUV sembra avere poco a che fare con la loro definizione di Sport Utility Vehicle. Questi veicoli non sembrano offrire molta praticità per il trasporto, e la loro ergonomia spesso lascia a desiderare.
Inoltre, sembra che molti designer e produttori di automobili si siano concentrati sulla creazione di veicoli che non offrono alcun vantaggio pratico, ma che sono solo un insieme di banalità o di elementi già visti. Questo dimostra una mancanza di innovazione e di immaginazione nel creare vere nuove funzionalità per i veicoli. In generale, l’automobile di oggi è molto diversa da quella che il disegnatore ha conosciuto e disegnato, e sembra che ci sia ancora molto lavoro da fare per creare veicoli veramente utili e innovativi.
l futuro dell’industria automobilistica sembra essere bloccato in una sorta di stagnazione. Nonostante l’avvento delle auto elettriche, l’aspetto estetico delle auto sembra ancora essere basato sulle fattezze delle auto a motore termico, come se la motorizzazione fosse un optional aggiuntivo invece di un elemento centrale. L’aspetto positivo, se così si può dire, è la tendenza verso un’estetica più “pulita” e semplice, come si vede su alcune marche automobilistiche cinesi. Tuttavia, per affrontare le sfide future, servirebbero cambiamenti profondi e innovativi. Non basta avere designer geniali o lungimiranti, ma sarebbe necessario un cambiamento di filosofia.
Al momento, non sembra esserci nessun AD illuminato all’orizzonte, e quindi non ci sono prospettive di un reale cambiamento. Ci vorrebbe un “déjà vu spirituale”, ossia un ritorno alle radici dell’automobile e alla sua funzione primaria, anziché cercare di abituarci a estetiche vuote e prive di significato pratico.
Quali sono le tue opinioni sull’innovazione tecnologica e l’impatto che potrà avere sul design dei veicoli?
L’innovazione tecnologica e tecnica, come l’elettrificazione, potrebbe essere la spinta necessaria per creare una vera rivoluzione nell’industria automobilistica. Nonostante il dibattito sulle reali convenienze ecologiche dell’elettrico rispetto al motore termico, è indubbio che le full-electric abbiano il potenziale di portare a nuove architetture, influenzando design e stile in modo significativo. Tuttavia, il problema rimane lo stesso: chi avrà il coraggio e la visione per fare il primo passo? Solo i pionieri che penseranno in modo innovativo potranno farlo.
Come ti immagini le auto del futuro dal punto di vista estetico e funzionale, e quali sono le caratteristiche che ritieni più importanti per rispondere alle esigenze della mobilità sostenibile?
Ho menzionato la possibilità di un “déjà vu spirituale” piuttosto che l’estetica vuota proposta come “rinascita” da chi non sa cosa sia il Rinascimento. Da un punto di vista estetico e funzionale, il “déjà vu spirituale” si riferisce a automobili su quattro ruote, ma non più tendenti al gigantismo attuale, che sempre più spesso presentano dimensioni esterne esagerate rispetto alla capacità di carico e alla generale ergonomia funzionale. Il mio suggerimento è di proporre architetture aggiornate e opportunamente mirate al trasporto di persone e cose, non solo all’edonismo dell’acquirente. La mobilità sostenibile potrebbe realizzarsi attraverso il ritorno a veicoli più piccoli ma non meno abitabili, né con bagagliaio ridotto. Le auto degli anni ’80 e ’90 erano molto più utili e confortevoli e offrivano anche una visibilità di guida e una manovrabilità migliori, garantendo una maggiore sicurezza rispetto agli standard vigenti.
È necessario ridimensionare le automobili e utilizzare materiali e accessori in modo più razionale per produrre veicoli più leggeri, sostenibili sia dal punto di vista economico che ambientale per i costruttori e gli utenti. Purtroppo, al momento, nessuno sembra interessato a perseguire questa idea.
Quali consigli daresti ai giovani che vogliono intraprendere la carriera di car designer, e quali sono le competenze che ritiene fondamentali per avere successo in questo campo?
La mia reazione istintiva sarebbe “che lascino perdere”, ma capisco l’importanza della passione e quindi cercherò di dare dei consigli.
In primo luogo, è importante stabilire una definizione chiara del termine “designer” e in particolare di “car designer”. Da anni ricordo che “design” in inglese significa “progetto” o “disegno” inteso come progetto piuttosto che come opera d’arte. Questo perché a partire dagli anni ’70 il termine “design” è stato sostituito intenzionalmente (per non dire astutamente) con “stile”, soprattutto nel settore automobilistico, tanto che tutti sono diventati “designer”, mentre molti non possono essere paragonati agli stilisti di un tempo, capaci di “misurare lo stile”, il primo passo per qualificarsi come designer. Ciò che è estremamente raro oggi nei cosiddetti “designer” è la capacità di creare, ovvero di concepire, filtrare e realizzare la propria creatività. Invece, molti sanno solo schizzare e dipingere, ma non sanno creare. Non voglio essere riduttivo con la parola “solo”, ma sarebbe onesto ammetterlo.
Qual è la tua opinione riguardo alla proliferazione di “car designer” e all’estinzione degli stilisti, e quale è il suo consiglio riguardo alle scuole di design?
Purtroppo, a mio parere, le cosiddette scuole di design nel mondo, sono in realtà “asili” in cui i bambini ricchi possono continuare a scarabocchiare con facilità invece di essere istruiti a concentrarsi su obiettivi di vera creatività, ovvero di innovazione reale, che deve essere il risultato di una visione a lungo termine filtrata da conoscenze tecniche e soprattutto dall’essere autocritici e utilizzatori di ciò che si disegna. In altre parole, disegnare all’insegna del mio motto professionale: “primo cliente di me stesso”. Pertanto, il mio consiglio è di evitarle o, se proprio si decide di frequentarle, essere consapevoli che è illusorio pensare di diventare designer qualificati senza seri esami selettivi.
È sbagliato credere che un diploma di scuola di design sia equiparabile a una laurea tradizionale, e la serietà professionale imporrebbe di limitarsi ad attestati di frequenza. Sono disposto a ricredermi se mi accorgerò del contrario.
Allora, cosa fare? Il mio consiglio a tutti gli aspiranti designer (o stilisti) è quello di laurearsi in architettura o ingegneria. Inoltre, frequentare corsi di modellismo industriale (gratuiti, come il CEMI di Savigliano – CN) può essere utile per acquisire competenze importanti per la professione. Fino ad oggi, nessuno ha mai pentito di aver seguito questo percorso.
Quali sono tuoi i consigli per diventare un designer di successo e superare le limitazioni dei Centri Stile o Design attuali?
Ma, oltre alla formazione, è importante anche impegnarsi come autodidatti per acquisire competenze. Conosco persone che, non avendo alcuna specifica scolarità tecnica, sono comunque più preparate di molti neo ingegneri, architetti o studenti di scuole di design. Questo grazie alla loro passione e impegno come autodidatti. Giorgetto Giugiaro, il designer del secolo, è un autodidatta, ma purtroppo oggi, a causa della sua mancanza di scolarità specifica, non verrebbe assunto in nessun Centro Stile. Questa è una situazione triste, ma reale.
Se la formazione è importante per diventare un designer professionista, è altrettanto vero che i Centri Stile o Design sono cambiati rispetto al passato. Oggi è pressoché impossibile proporre una propria idea e portarla avanti integralmente, e questo limita le velleità di emergere. Purtroppo, i designer sono spesso considerati come polli d’allevamento le cui “uova” vengono covate da altri senza che la loro firma abbia alcun valore. Questa è una situazione triste, ma reale, e ha portato a risultati deludenti.
Il mio consiglio per gli aspiranti designer è di non farsi illusioni di gloria una volta diventati professionisti. Devono invece essere pronti a non cedere di fronte a ricatti o imposizioni forzate, ma a tirare fuori il meglio di sé stessi quando sentono che ne va della loro dignità professionale. Devono prima di tutto auto valutarsi e immedesimarsi come primi clienti di loro stessi, molto attenti ed esigenti. Solo così possono sperare di avere successo nella loro carriera. Buona fortuna!