L’intervista a Roberto Giolito, uno dei designer automobilistici più famosi a livello internazionale, si concentra sulla sua passione per il car design, le sfide del settore, e il futuro dell’innovazione automobilistica. Il design automobilistico richiede l’attenzione sia all’estetica che alla funzionalità, considerando le richieste del mercato in termini di sostenibilità ambientale, sicurezza, efficienza energetica e piacere di guida. Roberto Giolito condivide la sua esperienza nella creazione di vetture iconiche, esplorando le ultime tendenze e prospettive future del design automobilistico.
Roberto Giolito, con un background in industrial design e la perenne passione per le auto, ha unito nei suoi progetti forma e contenuto, estetica e funzionalità, per creare vetture di uniche e anche di successo. La sua carriera alla FIAT ha portato il marchio italiano, agli inizi del nuovo millennio, ad essere uno dei leader del settore automobilistico globale.

Ha disegnato alcune delle vetture più significative dell’era automobilistica moderna, tra cui la Fiat Multipla del 1998, che è stata esposta al MoMA di New York in occasione della mostra “Different Roads” del 1999, e la Fiat 500 del 2007, che ha vinto numerosi premi, tra cui Auto dell’anno nel 2008, World Car Design of the Year nel 2009 e Compasso d’Oro ADI nel 2011.

Giolito ha lavorato per FIAT a lungo, ricoprendo diversi ruoli di responsabilità nell’Advanced Design del gruppo, e inizialmente per i marchi Fiat e Abarth. Dal 2011 al 2015 ha guidato il Design Center del gruppo FCA come vicepresidente per la regione EMEA.
Nel 2016 ha assunto l’incarico di Head of Heritage, dove oggi, nel gruppo Stellantis, si occupa di preservare, promuovere e divulgare il patrimonio storico dei marchi italiani di FCA. Il suo contributo al design automobilistico lo ha reso una figura importante nel settore e un esempio di eccellenza italiana nel mondo.

Oltre alla sua attività professionale, Giolito è stato anche ambasciatore del Museo della Triennale di Milano e ha tenuto lezioni presso diverse istituzioni, tra cui il Politecnico di Milano, IAAD, Scuola Politecnica Design e la Quattroruote Academy. Ha anche tenuto master class presso IED, Royal College of Art e Politecnico di Torino, e dal 2019 al 2022 gli è stato assegnato il ruolo di Presidente di ISIA Roma, istituzione universitaria del design, dove studiò e ottenne il suo diploma di laurea quasi 40 anni prima.
Il suo lavoro è stato riconosciuto a livello internazionale, e nel 2008 è stato nominato Eurostar dalla rivista Automotive News. Nel 2011, ha ricevuto il “Premio per l’Innovazione” nella sezione Design dal Presidente della Repubblica Italiana.
Ciao Roberto, grazie per condividere la tua esperienza come designer di successo. Come hai vissuto il passaggio dalla laurea in industrial design all’assunzione presso la Fiat? Quali erano le tue aspettative per il futuro professionale in quel momento?
Quando ho iniziato la mia carriera nel campo del design automobilistico, mi sono reso conto fin da subito che mi trovavo in un ambiente altamente specializzato e complesso. Il design di un’automobile richiede la perfetta sincronizzazione di migliaia di parti per garantire il suo corretto funzionamento, un punto fondamentale che richiede particolare attenzione alla componentistica e alle specifiche tecniche, oltre che alla ricerca stilistica finalizzata all’estetica del prodotto nel suo insieme.

Rispetto ai progetti di altri prodotti, il design automobilistico presenta delle peculiarità che devono essere tenute in considerazione. Tuttavia, anche nel campo del product design, la specializzazione in tipologie di prodotto o in base alle tecnologie, può rappresentare una chiave di successo per eccellere in specifiche categorie, come quella del settore dell’abitare o del design dei sistemi informatici.
Durante il periodo dei miei studi presso l’ISIA di Roma, si stava vivendo un momento di grande cambiamento nel mondo del design. Era l’avvento del post-modernismo e la nascita di una nuova concezione del design, dove la rappresentazione del prodotto nel contesto abitativo stava mutando, mettendo in scena oggetti altamente provocatori in grado di sovvertire i vecchi credi sull’equazione della forma che segue la funzione a livello progettuale. Non si trattava più di progettare oggetti che servissero e basta, ma di introdurre un maggior grado di libertà nell’uso di forme e materiali, anche esasperando gli aspetti simbolici e semantici dei singoli complementi.

In quegli anni, l’operazione legata alla collezione Memphis a Milano, guidata da Ettore Sottsass, rappresentava alla perfezione questo nuovo trend, con una nuova generazione di nuovi progettisti alle prese con la sperimentazione formale e materica. Anch’io, come studente di design, sognavo di poter diventare famoso come Ettore Sottsass o Alessandro Mendini, creando oggetti capaci di narrare storie e di aprire a nuovi corsi formali dei prodotti, ma ero consapevole che le opportunità in questo settore erano poche e le aziende e i grandi marchi del mobile avevano già trovato i loro guru, tra i maestri consolidati e le giovani star giunte da altri Paesi.
Un giorno, verso la fine degli anni ’80, risposi ad un annuncio di lavoro pubblicato su un paio dei maggiori quotidiani italiani, inerente alla ricerca di designers dell’auto per una grande azienda automobilistica italiana. Non pensavo di avere molte possibilità di essere assunto tra le 300 persone che vennero intervistate. Alla fine, ebbi la fortuna di essere selezionato, assieme ad un’altra persona, nientemeno che dal centro stile della Fiat, dove conobbi un mondo completamente diverso da quello che mi aspettavo.
Nonostante gli uffici un po’ grigi e tutto il personale che indossava camici bianchi, l’azienda era, straordinariamente. accogliente e motivante
Certamente, l’influenza di figure come Ettore Sottsass e la collezione Memphis è stata fondamentale per la creazione di oggetti altamente connotati dal punto di vista semantico e di liberazione dagli schemi, ma è importante ricordare che la funzionalità dell’oggetto non deve essere mai trascurata. Un buon risultato del design è sempre ottenuto da un rapporto ideale tra forma e contenuto, che risulti equilibrato e che non tradisca le aspettative in termini di esperienza piacevole nell’uso.
Qual è stata l’evoluzione del processo di design nel settore automobilistico che hai notato durante la tua carriera di designer automobilistico? E come hai vissuto il tuo lavoro di designer in un ambiente orientato verso l’ufficio tecnico o centro studi?
Durante la mia carriera come car designer, ho assistito all’evoluzione del processo di sviluppo del prodotto nel settore automobilistico, che è stato arricchito da una serie di innovazioni e cambiamenti significativi. Una delle esperienze più significative della mia carriera è stato l’apprendimento delle tecniche di costruzione del modello di stile, nella cosiddetta sala gessi, ovvero la sala dei modelli del Centro Stile Fiat, (per via del materiale impiegato, la scagliola), dove mi cimentai anche nella realizzazione di veloci bozze in polistirolo per rappresentare forme di monovolume che, si immaginava, avessero assunto l’80-90% delle vetture nel prossimo futuro, a partire dagli anni 2000. Questo processo ci ha permesso di esplorare velocemente una vasta gamma di soluzioni e di sviluppare nuove idee e concetti di veicoli con schemi di abitabilità innovativi.

In quegli anni, il mio capo del design, l’architetto Mario Maioli, mi aveva chiesto di disegnare una gamma di vetture, in silhouette laterale, dalle utilitarie del segmento B fino all’alta gamma del segmento E, tutte rigorosamente con una forma monocellulare, perché si era convinti che quella fosse la strada giusta da seguire già dai prossimi mesi nello sviluppo di nuove proposte. Si era alla ricerca di nuove soluzioni costruttive e funzionali per ogni elemento del veicolo, dai nuovi space frames strutturali fino alla disposizione delle sedute sul pianale, in cui estetica ed ergonomia interagivano come fattori di ispirazione più che come vincoli.
Il mio percorso formativo in un ambiente che, se vogliamo, può ancora essere definito come un vero e proprio ufficio tecnico o centro studi, è stato un’esperienza molto arricchente dal punto di vista dell’organicità del lavoro. Infatti, ho avuto l’opportunità di collaborare strettamente con ingegneri, colleghi designers e tecnici altamente qualificati, e insieme abbiamo iniziato a disegnare i piani di forma delle soluzioni più innovative che si elaboravano, non solo attraverso proiezioni ortogonali, ma anche attraverso sezioni in scala 1:1, capaci di individuare le ragioni costruttive di ogni apertura, di ogni accesso, come ad esempio le motivazioni dietro la scelta sulla curvatura di un vetro che scende di una porta laterale, o di un parabrezza che, alla fine, deve essere anche omologato.

Qual è stata la tua esperienza riguardo all’importanza della disegnazione e come ha influenzato la sua creatività durante il processo di progettazione?
Ho avuto modo di apprezzare l’importanza della relazione tra le viste ortogonali nella disegnazione di un veicolo, in quanto queste permettono di definirne le caratteristiche dimensionali e tecniche in modo più dettagliato, e di decodificare nella propria mente la tridimensionalità. Nonostante ci siano regole da seguire, ho scoperto che queste non limitano un approccio creativo, ma anzi favoriscono l’esplorazione di tutti gli aspetti del progetto, anche quelli più nascosti o subdoli che avresti incontrato comunque imbattendocisi a metà strada nello sviluppo. Sono stato fortunato a lavorare in un ambiente aperto, dove ho avuto la possibilità di valutare e selezionare le migliori proposte senza pressioni esterne. Questo mi ha permesso di elaborare e di esplorare nuove idee, anche se a volte le proposte rischiavano di non essere accettate se presentate direttamente al board dei managers, poiché ancora poco mature.
Chi ha coordinato la progettazione di numerosi modelli di successo per il Gruppo Fiat Auto durante il periodo della tua assunzione?
Ho avuto la fortuna di lavorare al Centro Stile Fiat sotto la direzione dell’architetto Mario Maioli, noto per aver contribuito in modo significativo al design e alla progettazione di vetture per Fiat, Lancia, Autobianchi e Alfa Romeo nel corso di 15 anni tra gli anni ’80 e ’90. Maioli, con la sua visione innovativa, ha introdotto concetti avanzati di design integrato, che prevedevano l’analisi dettagliata dell’intero prodotto piuttosto che di singoli componenti. Secondo Maioli, il design doveva essere parte integrante del processo produttivo, coinvolgendo, nel processo creativo, non solo la struttura interna del Centro Stile, ma anche alcuni designer esterni free lance, per espandere l’innovazione e creare un dialogo in grado di enfatizzare e mettere in discussione i valori stessi di ogni marchio.

In questo contesto, Maioli ha creato collaborazioni con team di professionisti provenienti da diverse discipline e esponenti del design di spicco come Mario Bellini e Rodolfo Bonetto. All’interno del centro Stile, ha cercato di migliorare gli aspetti di abitabilità e usabilità degli interni delle vetture, portando una rivoluzione stilistica in tutto il parco auto del gruppo.
Come l’esperienza della tua passione per la musica jazz ha influenzato il tuo approccio alla creatività nella progettazione di prodotti innovativi e come hai integrato le tue conoscenze musicali nel processo di ideazione e sviluppo dei prodotti?
In quel contesto di creatività, progettazione, tecnica e tecnologia estremamente stimolante, c’era spazio anche per altre passioni. La mia passione per il jazz mi ha portato a condividere momenti con altre persone con cui collaboravo sui progetti. Rodolfo Bonetto è stato uno di questi. Abbiamo parlato molto assieme di design e jazz, (essendo stato Bonetto un batterista jazz di grande bravura), e io ho vissuto la mia passione per la musica riuscendo a trasportare elementi concreti da questa cultura nello sviluppo di un prodotto, anche attraverso l’introduzione di altre culture e modi di lavorare e collaborare, provenienti da diverse estrazioni e provenienze. Questo mi ha permesso di non rimanere imprigionato in un discorso di autoreferenzialità.
Tu hai sempre lavorato con giovani talenti provenienti da diverse discipline per creare progetti e migliorare i prodotti automobilistici, portando vantaggi significativi alla Fiat. In che modo è stato influenzato il tuo lavoro da questo gruppo di lavoro multidisciplinare?
Durante il mio lungo lavoro alla Fiat, ho avuto la possibilità di creare un team di giovani talenti che ha preso parte alla creazione di nuovi concept per i marchi Fiat, Lancia e Alfa Romeo. Questa esperienza mi ha permesso di formare e lavorare con persone provenienti da diverse discipline accademiche e professionali, apprendere tecniche di progettazione e disegno innovative con il supporto e sostegno di importanti figure come Mario Maioli ed Ermanno Cressoni. Grazie a questo ambiente di partecipazione, ho potuto anche lavorare con uno studio di design milanese e coinvolgere i nuovi giovani talenti del Centro Stile Fiat in un laboratorio aperto e ricettivo. In questo clima aperto, siamo riusciti a raggiungere grandi obiettivi di prodotto e sviluppare diverse declinazioni indirizzate ai veicoli in sviluppo per i marchi del Gruppo.
È corretto interpretare che durante l’esperienza presso il centro stile Fiat, si sia creato un clima di grande partecipazione e sperimentazione non solo sul prodotto, ma anche sulla squadra che lo avrebbe realizzato?
Mario Maioli si distinse per la sua forte considerazione del design come confronto culturale e come fonte di idee innovative per la progettazione di automobili. A questo scopo, alla fine degli anni ’80, si recò all’Art Center College of Design di Pasadena, in California, alla ricerca di giovani talenti del car design. Al suo ritorno, Maioli portò con sé una rosa di possibili candidati che si unirono al team di designer del Centro Stile Fiat, sia che lavorassero per Alfa Romeo ad Arese che per altri marchi Fiat e Lancia a Torino. Personalmente, ho trovato questa esperienza entusiasmante e altamente integrativa, poiché l’Art Center di Pasadena rappresentava una scuola di pensiero diversa e complementare al tipo di formazione che ricevetti all’ISIA, capace di offrire un enorme valore aggiunto sull’aspetto della rappresentazione grafica e dell’illustrazione, non disgiunta dagli aspetti emozionali e di percezione dei veicoli. I giovani designer che arrivarono dal Art Center College si dimostrarono grandi talenti nella loro professione e diventarono i miei colleghi in un Centro Stile Fiat davvero multiculturale ed eterogeneo.
Qual è stata l’ispirazione o la filosofia che ha guidato il tuo approccio al design durante il tuo lavoro al Centro Stile Fiat?
Durante il mio lavoro ho sempre cercato di sperimentare e di proporre soluzioni innovative che spesso si disperdevano tra le tante proposte del gruppo che confluivano nelle presentazioni al Board, ma che tuttavia contribuivano alla crescita professionale di tutta la squadra nel prendere in esame aspetti innovativi e di ricerca. Il mio approccio al design è stato sempre basato sulla decostruzione: mi piaceva esplodere il disegno e capire cosa c’era sotto la superficie, con l’obiettivo di rappresentare la vera essenza dell’auto, fino alle ossature. Mi interessava capire come funzionasse la vettura e come sarebbe stato possibile realizzarla. Guardavo con interesse ai diversi approcci nel disegno, come quelli basati sulla scultura, ma alla fine ho trovato la mia strada nella realizzazione pratica di maquette abitabili essenziali e facili da costruire, fatte di tondino di ferro, spinto dalla voglia di creare qualcosa di concreto e sperimentabile.
Durante il mio lavoro, ho adottato un approccio basato sulla destrutturazione riverente. La mia idea è sempre stata quella di fare di più con meno. Ma questo lo puoi fare solo quando il contesto te lo consente.
Qual è stato un progetto concreto su cui hai lavorato in cui hai avuto l’opportunità di integrare competenze diverse provenienti da più settori/discipline?

Sicuramente il progetto della FIAT Downtown dove ci siamo impegnati nell’analisi dell’approccio iconoclastico della vettura da città, progettata per ridurre al minimo le dimensioni senza compromettere l’ergonomia. Dieci anni prima dell’uscita della Mercedes Smart, avevamo già creato un’architettura del tutto simile, ma con tre posti anziché solamente 2, riprogettando inoltre l’accessibilità delle vetture di quel segmento, grazie al contributo dell’esperta dott.ssa Enrica Fubini, responsabile dell’ergonomia per il gruppo Fiat.
Dopo un’attenta analisi, abbiamo sviluppato un design organico che ha mantenuto l’ergonomia, valorizzando l’aspetto estetico e di compattezza della vettura. Ancora oggi, questi modelli rappresentano un esempio di buona progettazione ergonomica e funzionale. Personalmente, ero molto interessato a creare un progetto che unisse forma, ergonomia e funzionalità in modo integrato.
Qual è stato il ruolo del design e del cambiamento organizzativo nella creazione della divisione Fiat e del marchio Abarth, e come l’azienda ha collaborato con i migliori specialisti del territorio per raggiungere il successo?
Dai primi anni 2000 ho guidato i progetti nella fase cruciale del concept, grazie al nuovo Advanced Design Center di FIAT Group e alla nuova squadra creativa che ha portato notevoli benefici all’interazione di idee. La creazione della nuova 500 è stata un passo naturale, acquisendo la credibilità per portare avanti i brand Fiat e Abarth nella loro identità, riconoscibile fuori dal contesto prettamente nazionale a cui eravamo abituati. Abbiamo adottato un metodo di lavoro con collaborazioni locali con azienda specializzate nella progettazione e nell’utilizzo di tecnologie CAD/CAM, rafforzando il know-how. L’apertura della Fiat a concorsi di idee con studi esterni, ci ha permesso di confrontarci con le tendenze e gli standard degli altri studi dei carrozzieri a livello territoriale e producendo oggetti di diverso valore stilistico. L’attenzione della Fiat è stata sempre sulla sostenibilità del processo produttivo e sulla riduzione dell’impatto ambientale delle proprie vetture. La ricerca continua di valori innovativi da includere in automobili per migliorarne il rapporto con l’ambiente è ancora oggi una priorità per l’azienda.

Qual è stata l’ispirazione dietro la creazione della Fiat Multipla e quali sono state le sfide più grandi nel processo di progettazione?
Il progetto originale della Multipla prevedeva un veicolo a sei posti con un ampio bagagliaio e tre file di due posti ciascuna. L’epoca era caratterizzata dalle monovolume come la Toyota Previa e da alcuni veicoli americani come il Pontiac Trans Sport e la Nissan Prairie, con un design che proponeva un parabrezza la cui inclinazione sfidava i limiti delle omologazioni.

L’obiettivo era quello di creare un veicolo dalle forme generose e con la possibilità di riposizionare le sedute in maniera modulare, ma che potesse essere guidato con facilità e soddisfazione anche in città, oltre ad offrire una piacevole esperienza di guida per le famiglie in viaggio. Così è nata l’idea di creare un cockpit-salotto, in cui i passeggeri potessero dialogare senza doversi girare o utilizzare “…l’interfono…”. Il tema centrale del progetto era “Inside-Out”, partendo dal cuore dell’abitacolo e creando una spaziosa zona salotto per sei persone disposte su 2 file da 3 posti ciascuna, in modo da favorire gli scambi di dialogo. Il design esterno doveva essere ispirato ad una maison luminosa e senza rastremazione del padiglione verso l’alto, mentre l’interno doveva offrire un’esperienza conviviale e confortevole, adatta ai viaggi in famiglia o con gli amici. Il progetto è stato poi vincolato, ma anche ispirato, dalla collaborazione del gruppo Fiat con PSA, che all’epoca vedeva già la produzione di due monovolumi a sei posti su piattaforma comune: Fiat Ulisse e Lancia Z. La clausola importante era che non ci si facesse concorrenza nel settore delle 6 posti, a meno che il nuovo veicolo fosse…più corto di 4 metri…! Così pensammo ad un nuovo pianale che potesse rispettare questa lunghezza massima mettendo i 6 passeggeri comodi su sole 2 file di sedili, lasciando tra l’altro un ampio bagagliaio dietro di loro. Era nata così la Fiat Multipla, lunga solamente mm3990!
Può spiegare come la decisione di dividere il volume su due bolle, una superiore e una inferiore, sia stata presa e come questa scelta abbia reso la Multipla un prodotto sostenibile?
La Multipla è stata un prodotto di rottura verso a tendenza dei vetturoni con parabrezza molto inclinato (effetto treno superveloce), e che puntava alla facilità di guida e alla trasparenza formale, in favore di un veicolo più conviviale e spazioso. Ad ogni modo, le prime proposte si basavano su un’architettura convenzionale a sei posti più bagagliaio, con tre file da due posti. Inizialmente, il design di queste proposte si ispirava ad alcuni veicoli americani da poco usciti sul mercato, come il Pontiac Trans Sport o la Renault Espace. Questi veicoli avevano un parabrezza con una grande inclinazione al limite degli angoli di omologazione, il che evocava forme simili a treni superveloci, ma non adatte ad automobili che potessero essere guidate con facilità e soddisfazione.

L’idea alla base del progetto era di creare un salotto, un posto per il viaggio in famiglia o con gli amici, in cui ci si potesse rilassare e dialogare senza girarsi o utilizzare l’interfono per parlare. Il tema Inside-Out, cioè progettare il veicolo partendo dall’interno verso l’esterno, era il cuore metodologico del progetto. L’abitacolo doveva essere il centro della vettura, mentre l’esterno doveva partire dall’inviluppo delle superfici che avvolgevano lo spazio ideale, in modo da creare un ambiente sfruttabile e compatto nella vista in pianta.
L’idea di disporre i passeggeri su 2 file da 3 posti ciascuna, non consentiva alcuna rastremazione del padiglione in vista frontale, e ci ha portato a dividere il volume intero su due forme ben distinte e sovrapposte: quella superiore ampia e vetrata e quella inferiore snella e filante. In questo modo, la Multipla ospitava 6 passeggeri disponendo 3 sedili affiancati su 2 file, e poteva giovare di un bagagliaio dalla capacità superiore al mezzo metro cubo. La scelta di dividere il volume in questo modo è diventata l’archetipo formale della Multipla.
Quindi un design dalla forte connotazione funzionale, dove la forma è il risultato di requisiti e prestazioni?
Il design della Multipla era, dal mio punto di vista, estremamente sofisticato, e il prodotto finale era veramente sostenibile grazie all’insieme di fattori che contribuivano alla sua realizzazione. L’elemento strutturale principale, lo space-frame, che riguardava tutta la scocca e l’autotelaio, era ottenuto saldando elementi di acciaio ottenuti da piegatura della lastra di partenza, e non per stampaggio; un metodo moderno e ancora poco sfruttato, per ridurre i costi esorbitanti dei grandi stampi e il dispendio energetico nell’azionarli, e legato all’utilizzo delle tecnologie CAD/CAM. Le poche parti di carrozzeria esterna erano pensate di piccola taglia per essere stampate “gemellate”, parafanghi anteriori e posteriori sinistro e destro, porte anteriori e posteriori stampate assieme e poi tagliate. Questo garantiva un contenimento dei costi d’investimento nelle attrezzature a avrebbe facilitato la creazione di versioni differenti con minimo impatto sul rifacimento degli stampi.
Quali valutazioni hai fatto riguardo al tuo ruolo di designer della Nuova 500, che richiedeva di reinterpretare l’iconografia generale di Dante Giacosa in modo contemporaneo, mantenendo l’identità iconica del modello ma aggiornandolo per il pubblico moderno?
Ero molto entusiasta quando mi fu assegnato il progetto della nuova Fiat 500, anzi, il mio team, che era l’Advanced Design di Fiat Group, ricercò proprio questo tema come variante al lavoro appena concluso della nuova Fiat Panda, uscita sul mercato nel 2003. Avevo capito che avevo una grande responsabilità nel ridefinire un’icona come la 500 nel renderla contemporanea, senza tradire la forma originale ideata da Dante Giacosa, progettista e designer della Fiat 500 del 1957.
Ho lavorato con una squadra giovane e talentuosa, tra cui Turi Cacciatore, Andreas Wuppinger e Virgilio Fernandez, che hanno contribuito, tra gli altri, a sviluppare la volumetria della vettura in modo da rappresentare un linguaggio coerente con l’idea in divenire del marchio Fiat, fatta di semplicità e attenzione per le giuste scelte progettuali. Abbiamo adottato una conformazione che fa riferimento all’opera di Giacosa, in cui i volumi che compongono il body sono sovrapposti su 3 strati ben divisi: il volume di base che fa corazza resistente e ospitale, la fascia equatoriale (o di mezzo), che dal cofano avvolgente si protrae per tutta la fiancata fino al posteriore e, infine, il padiglione arrotondato che troneggia sopra queste.
Quali sono i metodi di lavoro utilizzati da Fiat per garantire la qualità della Fiat 500, e come sono stati gestiti i processi di progettazione per assicurarsi che i prodotto soddisfacesse le esigenze della clientela in tutto il mondo?
500 è stato anche un progetto che, grazie alla credibilità del risultato finale nel dare una forma contemporanea ad una piccola ma importante pietra miliare della storia automobilistica italiana, ha contribuito di molto alla popolarità del marchio Fiat nel mondo. Solo il 20% della clientela di questo modello si trova in Italia, mentre l’80% è diffusa in tutto il pianeta, ed è una vettura che non smette mai di sorprendere. Sono stati venduti 3,8 milioni di esemplari di questa nuova generazione dal 2007, che rappresenta l’esempio di un’italianità credibile realizzata su concetti come compattezza, sicurezza, usabilità, personalizzazione, che sono ancora validi e su cui tutta l’azienda ha lavorato, non solo per l’aspetto, ma soprattutto per come il prodotto funziona e fa innamorare chi lo usa.
Qui intervengono ancora i metodi che conobbi appena entrato in Fiat, realizzando le maquettes con i tondini di ferro, capaci di esemplificare il volume dell’auto, nelle quali ci sedevamo all’interno per vedere come ci si sentiva e come si appariva dall’esterno. Quindi provavamo le sedute, verificavamo che sulla nostra vettura non ci fosse stato un livello di disadattamento o non compatibilità con le diverse strutture. Usavamo colleghi di diverse stature e per poter accomodare e regolare il sedile. Completato il disegno, passavamo a tutte le varie definizioni più di dettaglio. Dico questo con “grande convinzione” perché queste sono state le regole per creare un prodotto veramente a misura d’uomo, e se oggi ancora se ne parla e ancora oggi piace sul mercato senza necessità di essere modificato, è perché c’è stato effettivamente un grande impegno in questa prima fase di impostazione del tema progettuale stesso. Io e il mio team abbiamo lavorato duramente su tutti i componenti della 500, a partire dal sedile. Ne abbiamo esaminato con attenzione tutti gli aspetti costruttivi e del design, dall’ergonomia alla forma e ai materiali utilizzati, fino alle 1000 personalizzazioni, tutte pensate dall’inizio.

Abbiamo iniziato definendo le esigenze degli utenti, cercando di capire le loro preferenze in termini di utilizzo e stile di guida.
Qual è stata la tua sfida nel disegnare la Nuova 500?
La sfida era creare un prodotto che fosse unico e ripetibile, che prendesse al volo l’occasione di un’immagine iconica, ma che la rendesse di nuovo contemporanea, e per lungo tempo. Inoltre, abbiamo dovuto tenere conto del package e della “nuova” posizione del motore anteriore, rispetto alla 500 del 1957, il che ha richiesto un’attenzione particolare all’impostazione del nuovo volume, proteso in avanti e alla perfetta esecuzione delle superfici: anche su una piccola vettura si può avere la massima dedizione su questi aspetti, non solamente per le super car…
Lo sbalzo anteriore ridotto della vettura, mi ha portato a dover fare un trade off e a creare una vettura di aspetto quasi da monovolume. La mia intenzione era di disegnare una monovolume perfetta, (che sarebbe ancora potenzialmente da esprimere sul tema 500 per gli anni a venire). Ciò che si vede nei miei primi schizzi della 500 è proprio questo: un parabrezza che arriva quasi a lambire la zona anteriore, solo perché avrei voluto mettere il vetro sopra il motore. Gli ingegneri sono stati talmente bravi nel ridurre la lunghezza dei puntoni a sbalzo, tanto da rendere il cofano sostanzialmente una piccola conchiglia avvolgente.
L’idea era di esaltare la nuova disposizione degli organi meccanici, cioè di portare avanti ciò che la 500 invece aveva dietro. Ricordo che le linee di fiancata del 500 di Giacosa tendono ad abbassarsi verso il posteriore, come facevano tutte le vetture degli anni ’50. Con la Nuova 500 ho mantenuto l’intenzione di sovvertire quest’ordine, creando un oggetto più dinamico e scattante, vista la migrazione del propulsore sull’anteriore.

La cancellazione di tutti i dettagli che connotavano il vecchio modello, come i gocciolatoi, chiaramente inutili oggi, fino alla separazione del finestrino anteriore da quello posteriore, sono stati il segreto di questo concept, chiamato poi “Trepiùno”, presentato nel 2004 al salone di Ginevra. Fu detto chiaramente ai giornalisti che si trattava di uno studio, di un’esercitazione, e che non l’avremmo mai portato in produzione.
A Ginevra, nel 2004, si discuteva del progetto presentato, ma inizialmente sembrava improbabile che venisse realizzato, perché si temeva che sarebbe stato un duplicato della Panda, già ben affermata sul mercato dall’anno precedente. Tuttavia, la gamma automobilistica del gruppo Fiat risultava incompleta senza questo modello capace di rievocare l’auto più amata di sempre del nostro marchio, e così molte testate automobilistiche richiesero ostinatamente la sua produzione. Dopo aver meditato per un anno, nel tardo 2005 il progetto fu approvato per la produzione. Si procedette poi allo sviluppo del prodotto e ci presentammo a Ginevra. Il risultato finale della nuova 500 è il risultato di un lavoro complesso, dove l’ingegneria di prodotto è riuscita nell’intento di realizzare una sorta di campionessa anticipando numerosi standard normativi legati alla sicurezza e alle emissioni, anche in collaborazione con studi di progettazione esterni come Carcerano S,r,l, di Torino. Un raro caso in cui il prodotto finale supera in emozionalità e coerenza l’aspetto della concept car originale, presentata 3 anni prima.
Qual è stato l’effetto dell’introduzione della tecnologia, in particolare dell’elaboratore elettronico e delle piattaforme digitali nel progetto della Nuova 500?
L’impiego di tecnologie di simulazione si è dimostrato un’efficace strategia utilizzata nel progetto della Fiat 500 per analizzare e testare ogni aspetto del veicolo, dalla meccanica al comfort degli occupanti, prevedendo il comportamento del veicolo in tutte le situazioni. Questo ha portato a un significativo aumento dell’efficienza del processo di progettazione, risparmiando tempo e denaro, e assicurando un prodotto di maggiore qualità. Inoltre, l’utilizzo di tecnologie digitali ha semplificato e velocizzato il processo di produzione, riducendo il tempo di realizzazione dei prototipi.

Grazie alle innovazioni offerte dalle tecnologie di simulazione, il processo di progettazione della nuova 500 è stato molto efficace. La coordinazione del lavoro di squadra è stata migliorata, e l’efficacia e la precisione delle analisi sono state notevolmente aumentate. Queste innovazioni hanno accelerato il processo di produzione, consentendo all’industria automobilistica di creare veicoli sempre più avanzati e sofisticati in grado di soddisfare le esigenze dei consumatori moderni, garantendo al contempo la massima qualità possibile.
L’intelligenza artificiale, rispetto alla realtà immersiva, potrà apportare ulteriori novità alla metodologia di progetto?
In generale, penso che l’intelligenza artificiale possa avere un grande valore nell’ambito del design e dell’architettura, ma solo se viene utilizzata in modo efficace e responsabile. Ad esempio, l’intelligenza artificiale potrebbe essere utilizzata per nuovi sviluppi anche nel design e per aiutare a ottimizzare le prestazioni e l’efficienza di un prodotto, ma dovrebbe essere sempre utilizzata da una regia umana, in modo da garantire che i risultati rispecchino un’etica e una coerenza con l’idea generativa.
Inoltre, la creatività e l’esperienza delle persone sono ancora indispensabili nel processo di design, poiché l’intelligenza artificiale non può sostituire in tutto la generazione di idee imprevedibili e asincrone ai processi razionali, la passione vista come ricerca di nuove ispirazioni e sentimenti ancora non codificati e la sensibilità che solo gli esseri umani possono avere. Quindi, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale dovrebbe essere sempre integrato con le competenze e l’esperienza dei designer e degli ingegneri in forma di esseri interagenti e dialoganti, per ottenere i migliori risultati possibili che possano risultare armonici con la sensibilità umana
Penso che separare l’intelligenza artificiale dall’apporto umano sia importante per implementare l’interfaccia tra uomo e macchina, senza che il primo si trovi schiacciato dal carico cognitivo. Ad esempio, migliorare le sequenze dei menu per accedere ai servizi a bordo delle auto, che ora stanno minacciando la sicurezza nella conduzione di un veicolo, sarebbe un contenuto altamente auspicato da tutti gli automobilisti, ormai vessati dalle richieste di attenzione del sistema di bordo stesso!
Penso che la tecnologia possa prendere, come già accade, iniziative per la sicurezza del veicolo e dei passeggeri tali da rendere la guida praticamente priva di rischi.
Qual è l’importanza dell’atteggiamento etico per i designer e creativi nella realizzazione del proprio lavoro, e come possono utilizzare la tecnologia per prendere decisioni informate senza sostituire la capacità umana? Quali sono le preoccupazioni riguardanti l’uso degli algoritmi nel processo creativo e come la tecnologia sta influenzando l’industria automobilistica, in particolare la sicurezza e la gestione di bordo?
Il confronto con la realtà da parte dei designer e dei creativi richiede sempre un atteggiamento etico nello sviluppo del progetto. La valutazione etica delle decisioni è essenziale perché protegge l’uomo nella sua capacità di immaginare scenari plausibili e di concepire soluzioni adatte alla sua visione umanizzata del mondo. L’essere umano deve essere in grado di prendere decisioni e di modellare e sperimentare nuovi progetti, perché solo attraverso questa dinamica è possibile creare prodotti di alto valore umano. La realtà virtuale e gli ambienti simulativi ad altissima risoluzione possono, al contempo, aiutare a rendere tangibili queste soluzioni, ma evitando di sostituirsi alla capacità di programmare e realizzare il proprio lavoro secondo le proprie esigenze e attraverso una visione intima e personale. L’uso di algoritmi può aiutare nel processo decisionale, ma non può spegnere l’entusiasmo creativo, il momento tra i più magici in cui una bella idea si rappresenta vivida nella mente prima di divenire forma o prodotto. È importante mantenere la propria iniziativa e la propria capacità di invenzione e scoperta. La paura della sostituzione dell’uomo con la macchina deriva più dalla pigrizia umana che dalla tecnologia stessa di essere adoperata con criterio e convenienza.

Come fruitore che si sposterà, mi piacerebbe sapere la tua opinione riguardo a questo mondo in trasformazione. Quali scenari prevedi per i nuovi equilibri che si stanno creando?
Guardo con interesse al lavoro svolto dalle scuole che portano avanti laboratori sulla mobilità e la relazione con gli spazi urbani, come all’ISIA di Roma. Ad esempio, sembra esserci un vero e proprio movimento di cambiamento nella forma e nei contenuti del futuro muoversi in maniera sostenibile, perché si riconosce chiaramente la necessità di alleviare la congestione dei centri urbani. Una delle leve per questo cambiamento, oltre al processo di elettrificazione già in atto, è l’implementazione del dialogo tra i veicoli, le infrastrutture e le persone, che sta producendo idee e concetti molto interessanti e attuabili già dal medio termine.

In questo senso, vedo un’evoluzione centrata sull’utente, in cui esso è al centro dell’utilizzo del veicolo, ma non necessariamente nel senso del possesso. La valutazione delle auto basata principalmente sull’aspetto e la sua classe di appartenenza è forte in diminuzione, poiché ci si sta concentrando di più sulla vera esperienza d’uso e sulla fruizione dei servizi mentre si viaggia o ci si sposta, ed il processo già auspicato di dematerializzazione è già in atto e occorre convertire gran parte delle metodologie progettuali verso le nuove applicazione dell’interazione e della distribuzione del servizio di mobilità stesso.

Parlaci dell’idea che hai del benessere a bordo del veicolo.

Per le auto, sono molto attento a come esse si muovono, accelerano, frenano e si inclinano. La mia auto dovrebbe essere in grado di seguirmi e di adeguarsi alle mie esigenze, e non viceversa. Per questo motivo, mi preoccupo sempre della conformità delle auto alle norme di sicurezza e all’uso di materiali confortevoli al tatto e alla vista. Personalmente, preferisco una guida piacevole e coinvolgente, che mi faccia sentire in sintonia con il veicolo e, finché ce ne sarà il bisogno, mi aiuti a mantenere un livello di allerta e attenzione sull’ambiente esterno circostante.
Quali consigli puoi dare ai giovani che vogliono intraprendere il percorso verso il progetto dell’auto, basati sulla tua esperienza?
Oggi occorre confrontarsi con un sistema-azienda molto complesso, e comprendere quali sono gli elementi che vengono integrati in un puzzle dove la parte creativa non è più solamente attribuita al ruolo svolto dai designers. L’automobile è l’insieme di esperienze creative, ingegneristiche e fortemente influenzate dalle tecnologie di produzione. Molto spesso l’innovazione nell’automobile consiste in micro-cambiamenti dove alcune parti interagenti del veicolo vengono ottimizzate con attenzione per ottenere un risultato finale radicalmente diverso dall’archetipo precedente. I designers, gli ingegneri del veicolo e dei processi che lavorano in questo campo possono ambire ad avere una carriera appagante anche da un lavoro che richiede tenacia e attenzione all’organicità di tutto l’insieme, fino ai minimi dettagli, e che può portare a grandi risultati se si è in grado di lavorare in squadra e con un forte senso di responsabilità nel farne parte.