Intervista al Principal Architect di UPA e Managing Partner di UPA Italia

Paolo Lettieri, laureato in Architettura al Politecnico di Milano, già a partire dall’anno 2000 collabora con diversi studi di architettura e ingegneria internazionali, nel 2009 a Milano fonda UPA Italia e UPA Consultancy ad Abu Dhabi nel 2007. Consegue un Master in Real Estate presso la MiP Graduate School of Business di Milano. Nel 2018 è co-fondatore di una Start Up pionieristica, per la creazione di un sistema Real Estate, basato sulla tecnologia Blockchain.
Interessato sin dagli anni universitari alla progettazione ambientale e alla sostenibilità, ha progettato dal 2011 un campus universitario dell’Università di Al Qasim a Babilonia in Iraq, registrato LEED-Leadership in Energy and Environmental Design, classificato al livello Gold.
Cinque facoltà universitarie: veterinaria, agraria, scienze ambientali, biotecnologie e produzione alimentare, a cui si aggiungono i servizi di ausilio al campus, quale mensa, alloggi, ospedale veterinario e moschea, 185000 metri quadrati su un lotto di quasi un milione di metri quadrati. Lo sforzo di coordinamento di un’ impresa progettuale del genere, ha investito competenze multiculturali e geograficamente diffuse, Milano e Abu Dhabi, per la progettazione, Baghdad, il cliente, Dubai, il consulente LEED, Sharja e Il Cairo, per le strutture, Budapest per infrastrutture e strade, e ancora Beirut, Nuova Delhi e Shanghai.
Ha progettato ville, ospedali, scuole, edifici industriali, masterplan negli Emirati Arabi Uniti, Russia, Iraq, Qatar, Italia e recentemente ha espanso i propri confini progettuali in Azerbaijan.

Chiedo a Paolo, come è nata l’idea di ampliare i confini nazionali e progettuali, muovendosi verso il Mondo Arabo in genere e negli Emirati Arabi Uniti nello specifico?
In maniera del tutto fortuita, i progetti sono cominciati nel 2007, con la collaborazione del mio socio iracheno Aswan Zubaidi, residente ad Abu Dhabi.
Da lì in poi è stato tutto un divenire, grazie alla credibilità e alla professionalità nell’esecuzione dei progetti, che hanno consentito un crescendo di ordini per la realizzazione di varie opere e progetti, fino al 2016, anno che ha segnato una parziale flessione in decrescita del nostro mercato, una crisi di settore che nel 2009/2010 aveva colpito Italia ed Europa, ma che appunto fino al 2015, non si era percepita negli Emirati.

A completamento di ciò si aggiunse anche la crisi in Iraq
La nostra grande capacità risiede nel fatto, che UPA, pur essendo uno Studio di Architettura, comparato a grandi realtà internazionali, molto contenuto, ha saputo mettersi in gioco in campo internazionale, con progetti rilevanti, con standard esteri, assecondando la forma mentis degli stranieri, attraverso un equilibrio e un costante conformarsi alle esigenze delle varie committenze.
Di notevole supporto è il ruolo del partner locale, che consente i primi approcci.
Come descriveresti la filosofia di UPA ITALIA?
La nostra filosofia può essere racchiusa in tre aspetti cardine:
- Affidabilità: Siamo presenti in tutti i progetti dall’inizio alla fine con coscienziosità e correttezza professionale, rispetto a realtà che si contraddistinguono per progetti lasciati insoluti, su cui ci è capitato di dovere intervenire.
- Flessibilità: Caratteristica fondamentale è la sufficiente dose di duttilità, che permette di adattarsi alle esigenze della parte ordinante.
- Multiculturalità: Visione ad ampio spettro, che si traduce fattivamente nella capacità di assecondare le richieste del cliente.
- Il nostro design è italiano, ma comunque immerso nella realtà locale.
Quindi come si coniugano le scelte stilistiche e architettoniche di un mondo notoriamente dedito alla sontuosità, rispetto alla nostra realtà espressiva?
Gli stranieri dal design italiano si aspettano il connubio tra formalità ed eleganza, ma mediamente il mondo medio-orientale confida essenzialmente in una ricercatezza di design, che si accorda usualmente ad un ampio uso della decoratività.
Risiede in questo binomio, l’attitudine a coniugare lo stile che mi rappresenta, che mi appartiene, con l’aggiunta dei giusti contrasti richiesti dal cliente.
Non mancano di recente dei clienti che assecondano totalmente lo stile occidentale, con spinte minimal, nonostante una parziale esuberanza.
Nei tuoi più di vent’anni di carriera, hai realizzato opere di pregio, in giro per il mondo e con scopi diversi l’una dall’altra, ma c’è una o più di una realizzazione, che ti rappresenta, o che ti ha emozionalmente, più coinvolto?
Sicuramente mi sento legato a più di un progetto, il primo è il “Ladies Club”, ha una genesi particolare, molto lunga.
È un edificio organico, nato da uno schizzo, di getto, è cresciuto nel tempo, un lavoro fatto a più mani, oltre me, hanno collaborato, il mio socio, l’architetto iracheno Aswan Zubaidi, e solo nella fase preliminare l’architetto australiano Tony Owen.

Ma ne sono legato soprattutto perché la realizzazione è rimasta abbastanza fedele al progetto iniziale.
Ladies Club è un club esclusivamente femminile, in un mondo in cui la divisione dei sessi, fonda le proprie origini ad epoche ancestrali, per la committenza ciò che doveva rappresentare era simbolo di quella cultura.
Progettato nel 2008, venne infine inaugurato nel 2018, in un decennio, i cambiamenti sul progetto, sono stati speculari ai cambiamenti sociali, inizialmente, le aree erano suddivise in spazi dedicati agli hobby femminili, con caffè e sale da tè per conversazioni, accanto a SPA ed Hammam, in itinere il club si è convertito, in luogo dedicato a fitness e sport, rispecchiando un’evoluzione di matrice occidentale.
Un altro progetto a cui sono particolarmente legato è l’ospedale materno infantile di Al Qassimi, a Sharjah negli Emirati Arabi Uniti, è un edificio pubblico, che ha un forte equilibrio visivo, grazie alla sua natura pulita e lineare, e che ambisce, pertanto a non divenire obsoleto negli anni a venire.
L’ospedale ha 240 posti letto per oltre 43000 metri quadrati progettato da me e dall’architetto Dagmar Sestak.
Ultimo, ma non per ordine di importanza, progetto a cui sono legato è l’ originariamente auditorium del VGIK a Mosca, la prima università per il cinema fondata nel 1919.

Il Progetto coadiuvato dal supporto dell’ingegnere esperto di acustica Marcello Brugola, probabilmente rappresenta il miglior progetto attraverso il suo equilibrio tra design, ingegneria, maestranze e società italiane che hanno costruito l’interno dell’auditorium.
L’auditorium doveva essere in grado di offrire prestazioni di livello avanzato dal punto di vista dell’acustica, dovendo assolvere ad una triplice funzione, sala teatro, sala per concerti e cinema, la sfida era progettare un auditorium che funzionasse bene con tempi di riverberazione molto differenti.

A tale scopo, è stato progettato e costruito un innovativo sistema di pannelli acustici in stoffa tesata trevira ingegnerizzati e costruiti in Italia.
Questi pannelli rotanti, controllati da sensori acustici, attraverso un software, possono ruotare a 180°, cambiando così la configurazione acustica della sala.
Il controsoffitto è molto organico, con forme sinuose disegnate, per conseguire la migliore rifrazione acustica possibile.
Trattandosi anch’esso di un edificio pubblico, mi piace l’idea che possa resistere al tempo e alle mode fugaci.
Un’ultima domanda te la pongo relativamente al complesso del Mangrove Place, menzionato già nel 2014 dal Sole 24 Ore, genesi e completamento di questo progetto?

Mangrove Place che sorge sull’isola di Reem Island, a 600 metri dalla costa di Abu Dhabi, è un complesso residenziale di lusso, rivolta ad una clientela di stranieri, desiderosi di investire nell’Emirato.
Ma poiché agli stranieri non è consentito di acquistare proprietà sull’Isola di Abu Dhabi, sono iniziati gli sviluppi Real Estate nelle zone vicine come appunto Al Reem Island, la volontà del progetto è stata quella di creare un edificio residenziale con molte terrazze, per godere di un clima caldo ma sostenibile, per almeno cinque mesi all’anno, in contrasto con le costruzioni circostanti, con grandi vetrate ma senza balconi.
Lo sviluppo a terrazze della torre ha consentito inoltre, di creare una forma che scardinasse la monotonia dei grattacieli, con panorami mozzafiato rivolti al mare.
Dal progetto iniziale alla effettiva realizzazione si sono avute delle differenze, che hanno richiesto il nostro intervento in corso d’opera: si è persa l’idea iniziale di un edificio bianco in stile Miami, ma nel complesso possiamo ritenerci soddisfatti.
Quello che si evince dall’intervista con Paolo, oltre ad una innegabile competenza e professionalità, è il trasporto emozionale, che lo hanno indotto alla realizzazione di progetti innovativi e mai scontati.
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